Marta e Maria, immagine del discepolo

Marta e Maria, immagine del discepolo

«In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola». Lc. 10,38-42

Lo immagino, Rabbì Gesù, scendere la valle del Cedron mentre la notte porta un po’ di fresco nel caldo torrido di Gerusalemme. Lo vedo salire il monte degli ulivi, passare la collina e scendere a Betania. Un piccolo villaggio, Betania, con le case basse, due sole stanze, addossate le une le altre. Lo vedo affacciarsi alla porta di una casa in centro villaggio, chiedere “si può?” All’interno Marta e Maria sono intente a far cuocere il pane per la sera, Lazzaro si gode un po’ di riposo dopo la giornata di lavoro. Basterebbe quest’immagine a scrivere un Vangelo a sé, basterebbe per riflettere – intensamente – sul vero volto di Dio. Gerusalemme è la culla dei profeti, la città santa; ma è così lontana dalla quotidianità di Nazareth, dalla pesca sul lago, dalla lunghe passeggiate nelle verdi colline di Galilea! Gerusalemme è caotica, dinamica, dura. Gesù sente la fatica del contrasto le molte attese riposte su di lui, le critiche feroci sul suo modo di fare. Alla fine della giornata ha bisogno di famiglia, di calma, di essere accolto, lui, almeno una volta. Dio è così: ha bisogno della cordialità e del calore di un’amicizia sincera. Se la smettessimo di considerare Dio come una specie di potente da convincere! Di rivolgerci a lui per lamentarci e chiedere! Se vedessimo il volto di Dio – il volto di un Padre – che ha bisogno di essere ascoltato. Betania è icona, immagine della Chiesa. O vorrei che lo fosse. Chiesa luogo in cui Gesù dimora, luogo in cui non soltanto si parla e si celebra la presenza di Dio, ma lo si accoglie, gli si prepara cena, con quei gesti semplici e intensi che sanno di affetto e verità.Le nostre case potranno mai diventare Betania? Capaci di accogliere, come sa fare Abramo nell’inattesa visita degli angeli a Mamré? Marta e Maria sono diventate modello, stile di vita per il cristiano.

Purtroppo quasi sempre (erroneamente!) sono state contrapposte. Sì, la solita retorica dell’attivismo di Marta contro l’atteggiamento di Maria che ascolta il Maestro. Azione contro preghiera, primato della preghiera sull’azione, se volete. Sterili polemiche, incapacità di leggere nel profondo questa ed altre pagine. No: Marta e Maria, le due sorelle, sono l’emblema del doppio polmone della vita cristiana: preghiera e azione. Una preghiera non può che diventare azione, come il samaritano, e l’azione prende linfa e senso della preghiera. Non possono esistere l’una senza l’altra, non c’è discepolato autentico senza entrambi. Il discepolo cerca nella preghiera, nella preghiera silenziosa e costante, quotidiana e autentica, l’incontro col Rabbì Gesù. Certo, se per noi preghiera equivale a lista della spesa, a cose da chiedere, se si esaurisce in un battere cassa, abbiamo poche possibilità di gioire della preghiera. Ma se preghiera è – invece – imparare ad ascoltare il silenzioso mormorio di Dio in noi, è tutt’altra faccenda. Di quanta preghiera manca il nostro tempo! Di quanto silenzio! E l’azione, il riconoscere il volto di Cristo nel fratello sofferente. Una fede che non esce dalle chiese, che si ferma ai tre quarti d’ora di messa domenicale, che non cambia i rapporti in ufficio o col vicino di casa, che non insegna a leggere la vita e cambiarla alla luce del Vangelo, è e resta fede sterile. Marta e Maria, quindi, come indicazione essenziale dell’essere cristiano, del diventare discepoli. Permettetemi allora di segnalarvi l’intuizione di un grande figlio dell’antica chiesa valdostana. Bernardo che, intorno all’anno mille, costruì ai 2500 metri di altitudine del colle che collegava l’attuale Italia e l’attuale Svizzera, un ospizio dove alcuni uomini condividevano vita monastica pregando e uscendo a soccorrere i viandanti che affrontavano l’aspro e pericoloso percorso. L’idea di monaci “guide alpine” aiutati da cani selezionati per tale compito era geniale e innovativa. Sul portone d’ingresso – ora custodita nel museo del Gran san Bernardo – una targa accoglieva i pellegrini: “hic Christus adoratur et pascitur”: “Qui Cristo è adorato e sfamato”. Marta e Maria, geniale, no?

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