Un grido di intercessione

Un grido di intercessione

Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Gn. 18,20-32

L’atteggiamento di Abramo è particolare perché mentre si narra dell’imminente distruzione della città di Sodoma per la malvagità che vi dilaga, Abramo sembra quasi contestare a Dio il diritto di distruggere quella città perché insieme agli ingiusti potrebbero perire anche dei giusti! Perché mai il patriarca Abramo non ha avuto il coraggio di continuare ad implorare anche per un numero inferiore di giusti e si è fermato a dieci? Il numero dieci è il numero minimo perché si dia una comunità, ma non so se questa sia la ragione, certo è che sarebbe stato bello se Abramo avesse continuato a sfidare Dio, scendendo anche al di sotto nel numero di dieci giusti. Dio avrebbe salvato Sodoma anche se vi avesse trovato un solo giusto. Se non lo ha fatto è perché quel giusto non c’era. E se in una società manca almeno un giusto, quella società collassa. Non perché a distruggerla sia Dio, più propriamente perché essa si autodistrugge. Abramo non si abbandona al lamento per i valori perduti, non si concede un’analisi psicosociale della decadenza, Abramo prega. E la sua preghiera non cerca rifugio nella comunione con Dio, ma è una preghiera che si fa preoccupazione per l’altro, sia pur esso peccatore, che Dio affida alla nostra responsabilità. A questo punto potrebbe nascere in noi la domanda: ma non è questo un ambito sterile? non è un ambito che ci fa eludere i problemi, che li scavalca, per così dire, senza risolverli? Era davvero la preghiera l’unica cosa che poteva fare Abramo? Quante volte abbiamo pensato che pregare fosse una facile evasione dalle nostre responsabilità? Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo. Scriveva il card. Martini: «Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. […] Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione». Intercedere non è dunque qualcuno da lontano che prega genericamente per … bensì qualcuno che si mette in mezzo, che entra nel cuore della situazione, che stende le braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare. Non è questo il gesto di Gesù sulla croce, l’atteggiamento del Crocifisso, che è l’unico giusto che l’Eterno trova sulla terra? Egli è colui che è venuto per porsi nel mezzo di una situazione insanabile, di una inimicizia ormai irrimediabile, nel mezzo di un conflitto senza soluzione umana. Gesù ha potuto mettersi nel mezzo perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui: l’uomo e Dio. Naturalmente un simile atteggiamento non calpesta affatto le esigenze della giustizia. Non posso mai mettere sullo stesso piano il bene e il male, gli assassini e le vittime… Però, se una preghiera intercede perché il Signore soccorra l’uno e abbatta l’altro, ignora ancora il bisogno di salvezza di chi è eventualmente nel torto, di chi ha scelto contro Dio e contro il fratello, non gli mette la mano sulla spalla … la sua non è una preghiera di intercessione.

Omelia di Giuseppe Bettoni.
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