“Sono molti quelli che si salvano?”

“Sono molti quelli che si salvano?”

Il devoto fedele che pone la domanda, evidentemente mettendosi tra il gruppo dei salvati, non sa in quale vespaio si è cacciato. È la tentazione di sempre: sapere se siamo in regola o no, se i punti accumulati per la promozione sono sufficienti a ricevere il premio, se – insomma – possiamo stare al sicuro, se il posto in Paradiso è prenotato.

E se un Papa venuto dai confini del mondo ci rammenta che il vangelo non è così, non rilascia patenti, non garantisce salvezza a suon di meriti, apriti cielo! Certo: togliere i confini ci destabilizza.

Ma ci rende liberi di seguire il Maestro sul serio.

È la tentazione che colpisce noi discepoli, noi cattolici di lungo corso, quando smarriamo la dimensione dell’attesa (ricordate?), l’ansia del discepolato, quando crediamo che le mura della città siano talmente robuste da non necessitare, in fondo, della veglia della sentinella.

Mantenere la vita di fede necessita di uno sforzo, dice il Signore, occorre passare per una porta stretta.

Nelle città fortificate c’era sempre la porta principale, sprangata durante la notte e sorvegliata. E una più piccola, ascosta, conosciuta solo ai cittadini, per le sortite notturne.

La strada stretta del vangelo non ha a che fare col sacrificio o la penitenza, ma con la diversità.
Tutti seguono il flusso, senza porsi problemi, lasciando ad altri la fatica del pensare.

La vita è fatta di alti e bassi, di momenti esaltanti e di fatiche immani, ma non esiste altro modo per vivere.

La lettera agli ebrei ci dice che possiamo vivere i momenti bui e faticosi come un’opportunità di conversione, per guardare all’essenziale. La prova è opportunità: possiamo ripiegarci su noi stessi e spegnerci o entrare più in profondità e scoprire il volto di Dio. Il Vangelo è esigente, ovvio.

Non severo o difficile, ma autentico e impegnativo, come lo è salire su una montagna o affrontare una prova sportiva.

Il nostro mondo tende a semplificare la vita, ad appianare le difficoltà. Bene, ottimo.

Ma non sempre funziona.

Disabituati alla lotta, troppi, oggi, gettano la spugna alla prima difficoltà, sul lavoro come nel rapporto di coppia.

Gesù ci ammonisce: per farsi trovare da Dio e restare nella sua luce bisogna faticare, lottare, non ci sono scorciatoie. Passare per una porta stretta.

 

Ci vuole tutta la vita per diventare cristiani, tutta la vita per diventare uomini, tutta la vita per liberarci dai troppi condizionamenti che ci impediscono di cogliere l’assoluto di Dio in noi.

Attenti, allora, al rischio dell’abitudine, al modo più triste di essere cristiani, che è quello di credere di credere, di confondere la propria sensibilità, il proprio stile di preghiera, la propria esperienza in un gruppo con l’unico modo di essere cristiani.

Avremo delle sorprese, ammonisce il Signore.

Persone che giudichiamo lontane da Dio, persone che in cuor nostro devotamente giudichiamo come peccatori e lontani da Dio, li vedremo a mensa col Signore. Perché l’uomo guarda l’apparenza, Dio guarda il cuore.

Animo, amici, Dio ci vuole bene e ci prende sul serio, ci scuote se necessario, ci invita, ora e sempre a diventare veramente discepoli secondo il suo cuore.

Proprio perché ci ama ci corregge, invitandoci a superare la tentazione del sentirci arrivati.