Pasqua di Resurrezione

Pasqua di Resurrezione

Lo hanno portato via!

Lo stupore per quella notizia inattesa li ha spinti a correre.
Intorno al piccolo promontorio di roccia della cava in disuso, alcuni ricchi abitanti della città si sono fatti intagliare preziose tombe addossate alla roccia.
Una di queste, quella di Giuseppe di Arimatea, è servita per accogliere il corpo straziato del Nazareno.
La pesante pietra che ne bloccava l’accesso, per impedire agli animali selvatici di fare scempio dei cadaveri, è ribaltata.
Si fermano, ora, i due discepoli. Riprendono fiato.
Guardano senza entrare.

È risorto!

Non è statica la fede, non impaludata, non inchiodata.
È una corsa a perdifiato per andare a verificare.
Per misurare la verità che altri testimoni ci hanno comunicato.
Una donna, in questo caso.
Maria di Migdal, l’apostola degli apostoli.

Eccome se si corre. L’amore mette le ali e fa volare.
Lasciando alle nostre spalle tutte le paure e le incongruenze, i limiti e i peccati. Solo la notizia di un’assenza.
Spiegazioni plausibili. Tutte. Meno una.
La più assurda: Gesù è risorto, come aveva detto.
Non rianimato, risorto. Non come Lazzaro, ma in una nuova dimensione a noi totalmente sconosciuta. È vivo.

Corrono, e prima arriva il discepolo che Gesù ama, tradizionalmente identificato con l’evangelista Giovanni.
È più giovane, certo, ma è anche un modo delicato per dire che l’amore corre e arriva sempre prima. Che l’amore si fida e crede.
Prima di Pietro, dell’autorità, della Chiesa, dell’istituzione.
C’è sempre questo duplice aspetto nella vita di fede: intuizione e istituzione, carisma e magistero, Giovanni e Pietro.
Ma è l’amore che precede.
Nessuno si converte al risorto sul ragionamento o sull’abitudine.
È anarchico l’amore, creativo, intuisce, arriva subito alla conclusione. Corre.
Ma, è questo è bellissimo, Giovanni si ferma e lascia passare Pietro.
Lo rispetta. Sa che entrambe le dimensioni sono essenziali.
Il carisma brucia, l’esperienza pondera.
L’amore è folle, la prudenza lo incarna.

Segni

Piccoli segni. Il lenzuolo, le bende, il sudario.
Ma sono segni poveri quelli che indicano la verità della resurrezione. Nessun segno eclatante, porte ribaltate, esplosioni atomiche, luci abbaglianti. Niente.
Perché la resurrezione è così: spinge a credere.  Ma senza obbligare.
Anche noi, se vogliamo, possiamo imitare Giovanni.
Vedere e credere. Non il risorto, ma i segni della sua assenza.

Così inizia il nostro cammino di Pasqua.
Cinquanta giorni.. per convertirci alla gioia.
Per passare dalla visione crocefissa della fede ad una luminosa.
Non è evidente e se ne accorgeranno i discepoli.
Ma questa è un’altra storia.