Mandati

Mandati

Vengono mandati, veniamo mandati.
Sembra quasi che la Bibbia sia percorsa da un’irrefrenabile bisogno di andare, di muoversi. Come se l’incontro con Dio mettesse la voglia di ballare, di raccontare, di dire.
E vengono mandati a due a due.

Prima delle parole è lo stile che evangelizza.
A due a due, senza guru carismatici, nella fatica della comunione (che sempre implica fatica), nella possibilità di non essere tanti solitari che si sfiorano, ma persone che camminano come compagni in una stessa direzione.
Questo siamo, o dovremmo essere. O potremmo diventare.
Molti pensano, purtroppo, di fuggire il mondo nascondendosi in sacrestia, innalzando alte pareti di incenso per non sapere, chiudendo Dio dentro i tabernacoli. È la paura che non ci permette di essere veri. Paura di perdere. Paura di essere travolti.
Non dobbiamo temere nulla: ci è donato il potere di dominare sulle tenebre, sugli spiriti che tolgono la purezza dallo sguardo sugli altri.
Lo spirito divisore che vede solo il male e la malizia.
Ci è donato uno Spirito santo che santifica. Noi e chi incontriamo.

Ordini

Una cosa chiede ai discepoli il Signore: vivere liberi.
Liberare perché liberati.
Non schiavi delle strutture, delle organizzazioni.
Molti vivono nel caos organizzativo totale e ciò non rende onore al Vangelo.
Ma altri rischiano di farsi soffocare dalle opere, magari ereditate da santi fondatori, gigantesche strutture che ostacolano e rendono servi. Religiosi diventati custodi di immensi complessi inutilizzati, parrocchie indebitate per decenni per strutture che nessuno usa.
Non va bene, proprio non va bene.
Prima la comunità, prima il cuore, prima la Parola.
E poi gli strumenti, se ci sono, se non ostacolano e offuscano.
Custodiamo con rispetto quanto i nostri padri hanno faticosamente costruito, opere d’arte per onorare Dio a disposizione di tutti, non chiuse nei salotti dei principi e dei re. Ma troviamo il modo giusto di non morire dietro le opere che non servono ad evangelizzare.
Liberi. Ed è bellissimo trovare discepoli, preti, collaboratori liberi dall’uso del denaro, liberi nel donarsi e nel donare, onesti e trasparenti nelle cose che fanno.

Restate

Gesù ci chiede di restare fra le case. Non ai margini del quartiere in un complesso parrocchiale recintato e invalicabile.
Di restare, ove possibile. Di abitare in mezzo alla città.
Non è forse il significato della parola “parocchia”?
Che significa fra le case come stranieri.
La gente sa se ci siamo. Se frequentiamo le strade e le case.
E anche nel momento del rifiuto che, quindi, è preventivato, ci è chiesto un atteggiamento inatteso: nessuna vendetta, nessuna stizza, nessuna rabbia. Solo la polvere dei calzari da scuotere per ripartire.
Così accade. I discepoli partono, propongono la conversione, la proclamano (non aspettano che avvenga, è Dio che converte, affari suoi!), allontanano i demoni e le tenebre, guariscono il cuore delle persone.

(Paolo Curtaz)