«Consolate, consolate il mio popolo»

«Consolate, consolate il mio popolo»

(1 lettura): Sono passati quarant’anni dalla deportazione in Babilonia. Dio suscita un profeta. Guarda lontano, questo profeta. Molti, fra il popolo, hanno scordato Gerusalemme, si sono integrati, alcuni hanno addirittura fatto carriera presso i babilonesi.
Non interessa nemmeno più, il ritorno in Palestina.
Come accade a noi, ormai integrati, assuefatti, rassegnati.
Che subiamo il pensiero corrente che confonde compassione con buonismo, che riduce la fede a scelta culturale o sociale, o politica.
Rassegnati a procedere senza troppo scossoni.
E Isaia richiama loro e noi ad osare. A consolare. A tornare ad essere fiaccola, strada nuova verso Dio, anche se in mezzo al deserto che fisicamente divideva Babilonia da Gerusalemme, dimora dello Spirito.

(2 lettura): Perché la consolazione, la compassione, la grazia di Dio è apparsa, come scrive Paolo al suo fedele discepolo Tito.
Perciò viviamo in maniera diversa. Perché graziati, cioè abitati dalla compassione. Figli nel figlio, ci siamo scoperti amati e prediletti.
Bene-amati. Non amati suscitando sensi di colpa, manipolando, ricattando, come siamo abituati a fare. Un amore ridotto a sentimento impulsivo, a soddisfazione del nostro bisogno di essere al centro dell’attenzione.
Amati bene. Con una libertà che rende liberi. Come solo Dio sa amare.

Ireneo vescovo diceva: cristiano, diventa ciò che sei.
Oggi siamo chiamati a fare memoria del momento in cui siamo stati innestati in Cristo. Scelta perlopiù inconsapevole e subita.
Ma che possiamo fare nostra, oggi, giorno dopo giorno.
Nutriti dalla Parola, nella preghiera, nella compassione.
Per vivere nella consolazione. E diventare consolazione.