Lo stoppino di una candela

Lo stoppino di una candela

«La parabola è come lo stoppino di una candela: costa pochi spiccioli, eppure, per quanto fioca sia la sua luce, può far scoprire un tesoro». Così scrivevano i rabbini contemporanei di Gesù. E Gesù ha preso molto a cuore questo detto, facendo della parabola uno dei suoi mezzi comunicativi più efficaci. La parabola prende delle immagini comuni, conosciute: esempi tratti dalla vita quotidiana, dal lavoro contadino, da eventi condivisi, e fornisce una chiave di interpretazione e di lettura della realtà, senza forzare, senza costringere, lasciando intatta la libertà di chi ascolta.

Rispettoso dell’uomo, Dio propone, indica, allude, senza mettere alle corde, senza costringere.
Che stile!

Le prime comunità hanno fatto tesoro di questo metodo, a volte riportando le parole di Gesù con qualche sfumatura, ampliandole, attualizzandole, così come, in teoria, accade ogni domenica nella nostra parrocchie.

Da dove viene il male?

Quest’anno ricordiamo i 100 anni dell’inizio della prima guerra mondiale. Dalle mie parti in ogni piazza di paese campeggia un monumento ai caduti. Leggendo l’elenco e l’età degli uccisi si resta basiti: un’intera generazione è morta per difendere quelli che la retorica nazionalista definiva i confini della Patria.

Cito sempre un dato che misura la follia di quegli eventi: l’armistizio venne firmato l’11 novembre alle cinque del mattino. La guerra era finita. Ma la fine dei combattimenti venne fissata per le 11 del mattino. In quelle ore inutili, invece di aspettare l’ora prevista, si combatté. Altri undicimila giovani perirono in nome dell’onore. Perché tanta follia?

La stessa domanda se la sono posta i primi cristiani, vedendo che la presenza del vangelo, piccolo seme gettato nel terreno sassoso, non portava i frutti sperati. La stessa domanda ce la poniamo noi, dopo duemila anni di cristianesimo. E Gesù risponde.

Spreco

Tre quarti del seme vengono gettati nel terreno sbagliato: molti non attecchiscono, se attecchiscono faticano, se faticano, alla fine, vengono soffocati. Tre quarti. Gesù ne parla in un momento non semplice della sua missione, in cui davvero ha la triste impressione che le sue parole siano travisate o scordate. È una parabola dai tratti cupi, problematici, davvero sembra che l’efficacia della sua predicazione sia sconfitta dalle distrazioni, dalle preoccupazioni, dall’opera dell’avversario.

Ma la cosa che stupisce è che, nonostante questo, il padrone getti il seme con abbondanza.
Anche sulle pietre, anche fra i cespugli.

È la memoria della tecnica di semina dell’epoca in cui prima si gettava il seme e dopo si mischiava alla zolla con l’aratro. Ma quello che resta di questa immagine è l’ottimismo di Dio che continua a seminare la sua Parola in questo mondo che ci soffoca di parole, tante, troppe, che la relega a testimonianza di una religiosità arcaica e popolare, come se fossero parole inutili, che fanno sorridere per la loro disarmante ingenuità.

No, la Parola non è affatto ingenua e continua a illuminare, anche se cade sulla pietra.

Paolo Curtaz (13 luglio 2014)