Andiamo fino a Betlemme

Andiamo fino a Betlemme

 

Vorrei essere per voi uno di quei pastori veglianti sul gregge, che la notte del primo Natale, dopo l’apparizione degli angeli, alzò la voce e disse ai compagni: “Andiamo fino a Betlemme, e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”.
O uno dei magoi che dall’Oriente, forse l’attuale Iran, si misero in viaggio dietro a una stella…

Il viaggio è lungo, lo so. Per noi ci vuole molto di più che una mezz’ora di strada perché dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare l’antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù.
Il viaggio è faticoso, lo so. Ci si chiede di abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste…per andare a trovare che?

“Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.
Il viaggio è difficile, lo so. Per noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorientati da sussurri e grida che annunziano salvatori da tutte le parti, e costretti ad avanzare a tentoni nelle circospezioni di infiniti egoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nel buio.
E’ un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so.

Ma questo, che dobbiamo compiere “all’Indietro”, è l’unico viaggio che può farci andare “avanti” sulla strada della felicità.

Quella felicità che stiamo inseguendo da una vita, e che cerchiamo di tradurre con il linguaggio dei presepi, in cui la limpidezza dei ruscelli, o il verde intenso del muschio, o i fiocchi di neve sugli abeti sono divenuti frammenti simbolici che imprigionano non si sa bene se le nostre nostalgie di trasparenze perdute, o i sogni di un futuro riscattato dall’ipoteca della morte.
Auguri, allora, miei cari fratelli.
Andiamo fino a Betlemme, come i pastori e i magi.

L’importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso.

 

Perché, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo.

E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.
Mettiamoci in cammino, senza paura.

Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
E allora, dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.

+ don Tonino, vescovo